Atto I - L'inizio della Fine

Mi fermo di colpo, e illumino le figure all'interno delle celle con la luce tremolante della torcia elettrica. Il mio stomaco si stringe mentre le osservo articolare parole senza senso, con la bava che cola dalle loro bocche semiaperte. Il solo pensiero di cosa possa essere accaduto a queste persone mi riempie di un orrore.

Senza distogliere lo sguardo, con un tono carico di incredulità e disgusto, sussurro: "Rossi… lei sapeva che Ferrante nascondesse questo terribile segreto?"

Lauren si trova dietro il gruppo. L'odore che arriva da là dentro va ben oltre quello corporale; non è nemmeno disperazione....è la fase dopo, la più devastante. Quella in cui ci si arrende! Vorrebbe fare qualcosa per i derelitti imprigionati ma deve pensare a sè. Solo dopo le viene in mente il vero motivo per cui si trovano nei sotterranei: salvare i due ragazzini. Viste le condizioni di quelli, la possibilità di trovarli vivi è ancora più improbabile. Non le sfugge però il silenzio dell'agente e lo fissa: davvero era impreparato a tutto?

Mi costringo a distogliere lo sguardo dalle figure scheletriche nelle celle. L’orrore che mi attanaglia lo stomaco è quasi paralizzante, ma le parole di Rossi mi spingono a reagire. Proseguire oltre le celle sarebbe la nostra fine.

Notando la reazione dei compari alle parole di Rossi, torno sui miei passi, facendo segno di seguirmi. "Torniamo alla stanza della cassapanca. Proviamo un’altra porta." La mia voce è quasi strozzata, ma decisa. Con passi guardinghi, mi dirigo di nuovo verso il punto da cui siamo arrivati.

L'umana pietà vorrebbe che facessimo qualcosa per quelle due creature chebun tempo erano umane. Forse un estremo gesto per mettere fine alle loro sofferenze... ma non ne ho la forza.
Il tunnel nero in cui perdo lo sguardo per non vedere i due derelitti mi ipnotizza e mi spaventa, e sono le parole di Giovanni a riscuotermi
Alzo la torcia ancora ultima volta verso le ultime celle, per un distorto senso di scrupolo, per non portare con me il dubbio che forse avremmo potuto fare qualcosa, anche se spero di trovare solo i segni di una sofferenza ormai terminata

Prima di lasciare l’area delle celle, noto Charles sollevare la torcia un’ultima volta, il volto segnato da un misto di pietà e orrore. Non posso lasciarlo affrontare da solo quell’ultimo sguardo nel baratro. Con passi cauti, mi affianco a lui, portando la mia torcia verso le ultime celle.

Osserva i suoi compagni con trepidazione. Perché si fermano in continuazione? Perché tornano indietro? "Andiamo.... via di qui", dice parlando a fatica. Le parole italiane si mischiano e frammentano, non riesce a ricordare i termini che ha appreso con lucidità. Sposta la sua torcia sulla schiena di Giovanni, poi in fondo dove ancora si trova Charles. La luce, invece di rischiare, pare accentui l'oscurità degli angoli più bui. "Possiamo...andare, please?", chiede con urgenza.

Il respiro mi si blocca in gola. Il cuore, che fino a un attimo prima batteva in preda alla paura, accelera ora per un altro motivo. Potrebbe essere uno dei nipoti di Mariani. Faccio un mezzo passo avanti, ma le gambe sembrano pesanti, come se il mio corpo stesso rifiutasse di accettare quello che vedo.

Dietro di me, la voce della professoressa Evans mi raggiunge, spezzata e tremante. Vuole andarsene, e come darle torto? Ma io non posso muovermi. Non ancora.

Deglutisco a fatica, poi sussurro, senza staccare gli occhi dalla sagoma avvolta nella coperta: "Mio Dio… È un bambino."

Mi volto per un attimo verso Charles, cercando nel suo sguardo la stessa speranza che sento dentro. Poi mi avvicino lentamente alla cella, la torcia salda nella mano, e con un filo di voce dico: "Ehi… mi senti?"

Unisco il mio alone di luce a quello di Giovanni, ma non lo volgo direttamente su quello sfortunato, dopo cosi tanta oscurità potrebbe quasi accecarlo
puoi dirci il tuo nome? chiedo trepidante
Ma se anche non suonasse familiare alle nostre orecchie, se non fosse quello che tanto aspettiamo di sentire, potremmo lasciarlo qui?
vogliamo aiutarti aggiungo piano

I miei occhi si spalancano, la mascella si abbassa per un istante mentre il respiro mi si ferma nel petto. "È davvero un bambino." Mormoro verso Charles.

Appena mi riprendo, avvicino la torcia alla serratura della cella e la esamino. Cerco di capire se sia possibile forzarla con i miei attrezzi da scasso o se serva una chiave.

In questo luogo dove nulla è come dovrebbe essere e dove gli uomini si trasfomano in mostri, temo che anche il piccolo prigioniero possa essere stato contagiato dalla malvagità Mentre Giovanni osserva la serratura - ne vedo il viso concentrato e attento - non perdo di vista il bambino. Potrebbe avvicinarsi per carcare conforto, ma anche spaventato reagire in modo inconsulto. Sto pronto per ogni evenienza, se si dovesse trattare di ricacciarlo lontano da Giovanni
*Cerchiamo di aiutarti. Sei qui da solo? chiedo di nuovo cercando di instaurare un dialogo

Alla parola bambino, la professoressa si fa avanti anche se titubante. "È...uno di loro?", chiede mentre con la luce insicura della sua torcia illumina la figura minuta. "Potrebbe essere shockato....chi non lo sarebbe? Piccolo, sei uno dei nipoti di Mariani? C'è anche tuo fratello qui?". Ed ondeggia la torcia verso le altre celle per cercare.

Rassicurato dalla presenza di Lauren e dalla vigilanza attenta di Charles, infilo la torcia sotto il braccio, indirizzando il fascio di luce verso la serratura. Quindi estraggo il mio kit di attrezzi da scasso.

Se c'è qualcosa di strano nel bambino, Charles sarà il primo a notarlo. Con questo pensiero in mente, mi concentro interamente sulla serratura. Inserisco i grimaldelli nel meccanismo e cerco i giusti punti di pressione.

"Roberto, vieni su... siamo qui per aiutarvi. Troviamo tuo fratello e ce ne andiamo, vero?", chiede rivolta a Charles e Giovanni per trovare appoggio. Ha bisogno di credere sia così. Fa un gesto incoraggiante al bambino spaventato con un senso d'inquietudine. Sta cercando di dargli un coraggio che non prova. Se il bimbo glielo permette, gli prende una mano e guarda i compagni "L'altro non può essere lontano"